mercoledì 31 ottobre 2012

Top 5: Favorites Debut Albums Of The 60s


Periodo di scarsa vena e scarsa ispirazione. Non solo per quanto riguarda il blog, che tanto c'era da aspettarselo, ma in generale.
Attingo così a piene mani a un discorso venuto fuori parlando con un amico qualche settimana fa al tavolo di un pub. Che si sa le idee nate al pub bevendo una birra sono tra le migliori, anche se ampiamente distaccate da quelle sotto la doccia o seduti sul cesso.
Si discorreva appunto di quali fossero alcuni dei migliori album d'esordio sfornati nel corso degli anni. Perché non basta tirar fuori il nome di un grande artista/gruppo e dire il titolo del primo album, non è affatto detto che questo sia stato un grande disco e ancor più raramente si tratta della miglior opera della carriera, vuoi per l’esperienza, vuoi per l’evoluzione dell’artista, e tutte quelle menate lì.
Subito si era pensato agli anni 70 e 80 perché, insomma, molta della musica che mi piace ascoltare è di quel periodo. MA. Perché non iniziare dai seminali anni 60? Eh sì iniziamo da lì.
Metto subito le mani avanti (o dietro, per pararmi il culo) dicendo che ho scartato alcuni gruppi fondamentali come Beatles, Rolling Stone, Who e compagnia cantante e suonante per il semplice fatto che nonostante tutto non ho ancora ascoltato o non ascoltato abbastanza i loro primi dischi quindi non posso buttarli in classifica. Lo so "Shame on me", ma niente Please Please Me o My Generation, per dire.
Come da titolo scelte personali fra i debut album che ho sentito. In futuro potrebbero benissimo venire stravolte…



5) In the Court of the Crimson King – King Crimson (1969)

Si parte subito con uno dei dischi, e dei gruppi, simbolo del progressive rock. Nel ’69 oltre all’album del Re Cremisi vedranno la luce anche le opere prime di altri gruppi cardine, come Genesis o Yes, pronti a portare negli anni 70 il genere al suo momento di massimo splendore.
Ma se non si può dire che l’omonimo album degli Yes o “From Genesis to Revelation” siano i lavori più conosciuti delle due band, un discorso a parte lo si può fare per In the Court of the Crimson King che è forse il loro album più famoso, riconoscibile fin dalla copertina. Un esordio col botto.

E ancora più col botto, dopo un trentina di secondi di silenzio, è il brano in apertura: 21st Century Schizoid Man. Semplicemente una canzone della madonna, schizzata fin dal titolo, con la voce distorta di Greg Lake (che poi si unirà a Keith Emerson e Carl Palmer per formare… beh lo sapete), il sax, un andamento incredibile, una parte strumentale da paiura con l’assolo… strano… di Robert Fripp (unica costante dei KC nel corso degli anni), un gran basso, una batteria che prende da matti e un finale quasi cacofonico. Come non farsi spiazzare dalla marea di suoni che ci regala questo brano nei suoi 7 minuti? Io personalmente l’adoro.

Chissà cosa ci aspetta subito dopo… spiazzante anche la seconda traccia, ma non per il brano in sé ma per la totale contrapposizione con Schizoid Man. I Talk To The Wind è una delicata ballata con una voce dolce, agli antipodi col brano precedente, e gli strumenti molto più contenuti ma che si ritagliano il loro spazio, accompagnati dal suono del flauto di McDonald. Piace molto la batteria.
Seguono gli oltre 8 minuti di Epitaph. Ancora un gran lavoro di batteria, specie nel finale, ma ha farla da padrone è la voce di Lake. Ottima atmosfera.
La quarta delle 5 tracce, Moonchild, è la più lunga (oltre 12 minuti) ma anche quella che mi piace meno. Dopo una prima parte con la voce accompagnata dalla chitarra di Fripp si susseguono interminabili minuti di silenzi interrotti da suoni improvvisi degli strumenti.
In chiusura la title track un po' ricalca Epitaph per la parte cantata, con lìaggiunta di alcuni cori. L'album si conclude con una parte strumentale quasi confusionaria.
Sono stato indeciso fino all’ultimo se piazzarlo qui o di una posizione più in alto. Alla fine si guadagna la 5° posizione perché nonostante sia parecchio valido il disco non mantiene il livello incredibile di quella 21st Century Schizoid Man schierata in prima linea per spazzare via tutto e tutti, ma che risulta quasi un caso isolato a confronto con le successive.



4) Fresh Cream – Cream (1966)

Nell’anno in cui la nazionale di calcio inglese riesce a vincere sul suolo di casa il suo primo e unico trofeo di una certa importanza, dopo decenni in cui gli albionici guardavano tutti dall’alto in basso perché “creatori del giuoco” (salvo poi prenderlo dove non batte il sole), e i Beatles fanno cantare Ringo in Yellow Submarine, sempre in Inghilterra c’è un altro evento da segnalare: tre musicisti che al tempo erano considerati tra i migliori con i rispettivi strumenti decidono di unire i propri talenti e formare Megazord l’invincibile rob-…. ehm formare un trio in odore di supergruppo, pronto a sfondare culi a destra e manca. Non si tratta della versione ’66 dei Miami Heat dell’ultimo anello, ma dei Cream.
Fresh Cream, nonostante l’anonima cover, già dal nome vuole essere una dichiarazione di intenti: “Ragazzi, prendete la roba vecchia e buttatela fuori dalla finestra come fosse l’ultimo dell’anno. E intanto che ci siamo facciamo esplodere una manciata di petardi”.
Alla chitarra Eric “Slowhand” Clapton, al basso Jack Bruce e alla batteria Ginger Baker.
I tre si alternano al microfono, ma si capisce subito che non sarà la voce il punto forte di questo album.
La prima traccia è… variabile a seconda della versione, che qui e più avanti ci ritroveremo a fare i conti con versioni UK e versioni USA che non ci si capisce bene. Diciamo che quello che ho sentito io dovrebbe essere la US, che inizia con I Feel Free.
Pronti partenza via, con una serie di voci incrociate, poi il ritmo si movimenta con bassline accattivanti e l'incursione della chitarra elettrica di Clapton. 
N.S.U. altro breve brano ben ritmato, ancora con una gran bel basso, un drumming convincente e un breve assolo di chitarra. 
Sleepy Time Time ha un marcato gusto blues. Sempre ottimo comparto strumentale, con un Clapton in gran spolvero durante tutto il pezzo e che rivaleggia in più punti con Bruce. Bella bella, anche se al primo ascolto potrebbe non dire molto.
Dopo Sleepy Time Time i Cream vogliono proprio metterci a dormire con la successiva Dreaming, due minuti di incastri vocali. Un po' Beatles.
Ma tempo per dormire non ce n'è visto che con Sweet Wine ci pensa prima Baker a scrollarci e poi Clapton con un pregevole assolo a rendere il brano il più rockeggiante sentito finora.
Ancora quel tocco blues con i 6 minuti di Spoonful, dominata dal basso, con ottime rifiniture di chitarra e un pizzico di armonica.
Cat's Squirrel è il momento strumentale per sboroneggiare tutti insieme appassionatamente.
Four Until Late è una canzone carina al sapore di Elvis. 
Scoppiettante l'inizio della cover Rollin' and Tumblin' con un Ginger Baker sugli scudi, in un crescendo dove batteria e chitarra sembrano rincorrersi all'impazzata.
Altra cover è I’m So Glad, brano che mi piace parecchio… struttura abbastanza lineare, un po' ripetitive le parti vocali, solito buon assolo di Clapton e uno strepitoso Jack Bruce che regala qui la miglior prova al basso del disco.
A chiudere direi più che degnamente il disco ci pensa la strumentale Toad. Dopo un inizio con tutti gli strumenti sale in cattedra Ginger Baker per un drum solo che mi fa impazzire. Quanti batteristi avranno preso ispirazione?
Grande album, a un riascolto pure meglio di quanto ricordassi. Un trio di musicisti da paura oggi un po' dimenticati. Vabbè Clapton a parte ovviamente...
Sono anche un buon esempio del “Troppi galli in un pollaio”, infatti la collaborazione dei tre avrà vita breve portando allo scioglimento dei Cream già nel 1969. Nel mezzo, dopo Fresh Cream, il gruppo farà uscire Disraeli Gears (con l’indimenticabile Sunshine Of Your Love e la wahwahosa Tales Of Brave Ulysses), il doppio album Wheels Of Fire e il conclusivo Goodbye. Ci tengo a segnalare in particolare Wheels Of Fire, in cui la prima parte è stata registrata in studio mentre la seconda durante esibizioni live, con solo quattro brani… tra cui le Spoonful e Toad presenti su Fresh Cream, ma allungate fino a sforare i 16 minuti (Baker ovviamente da paura nell’assolo fiume con la sua batteria), e soprattutto Crossroads, brano breve e veloce con le mie prestazioni preferite sia di Clapton che di Bruce.


3) The Doors – The Doors (1967)

Dopo l'accoppiata inglese attraversiamo l’oceano Atlantico, fino a giungere in California, per la posizione 3. Fino a poco tempo fa dei Doors avevo sentito varie canzoni, ma sempre sparse o raccolte in qualche Best Of/Greatest Hits. Solo recentemente ho finalmente ascoltato un loro album per intero, partendo dal primo omonimo disco del ’67.
Apre le danze la trascinante Break on Through (To the Other Side), con il suo ritmo sostenuto, l'intermezzo strumentale, le tastiere di Manzarek, un riff di chitarra mica male e, ovviamente, la voce aggressiva di Jim Morrison.
Notevole anche Soul Kitchen, ma è probabilmente la traccia numero 3, The Crystal Ship, la sorpresa personale del disco. Una canzone malinconica con una parte di tastiera davvero bella e un Morrison quasi toccante.
Seguono Twentieth Century Fox con un ritmo scanzonato e Alabama Song. Quest'ultima già la conoscevo e mi è sempre piaciuta parecchio, con quell'andamento barcollante e la voce affascinante di Morrison.
A metà dell’album troviamo uno dei brani più famosi dei Doors, Light My Fire. Poco più di 7 minuti di sana pazzia, soprattutto grazie alle tastiere di Manzarek e a tutta la parte strumentale che occupa buona parte del brano, compreso un bell'assolo di Krieger. Il tocco finale come al solito viene dato da Morrison. Chapeau.
Dopo una prima metà di grandi brani, la seconda metà l’ho trovata meno trascinante, seppur con brani interessanti (in particolare Take It As It Comes)
Ma come per gli spettacoli pirotecnici il tutto si conclude con un botto più forte e prolungato, nel caso dello spettacolo che è The Doors si tratta, ovviamente, di The End. Della canzone più lunga dell'album, grazie agli oltre 11 minuti di durata, l’indiscutibile protagonista è Jim Morrison. E’ tutt’altro che aggressiva come Break On Through o vivace come Light My Fire, ma l’andamento ipnotico e l’atmosfera creata dal gruppo lo rendono un gran pezzo.
Facciamo anche un salto in avanti di circa 12 anni. Come dimenticare il passaggio degli elicotteri e la giungla in fiamme a cui Francis Ford Coppola associa proprio The End in una delle prime scene di Apocalypse Now? Iconica quasi quanto la scena con la Cavalcata delle Valchirie.
The Doors è un album affascinante, in cui la fanno da padrone i suoni creati da Manzarek e la voce carismatica di Morrison.
La dirò tutta… a me la voce del buon vecchio Jim (senza tirare in ballo il personaggio) non fa impazzire in senso classico, come poteva essere per i cantanti della mia prima Top 5, ma era perfetta nel suo contesto perché riusciva a trasmettere emozioni come pochi. Scusate se è poco.


2) Are You Experienced - The Jimi Hendrix Experience (1967)

Ogni tanto mi domando “Chissà come deve essere stato a quel tempo?”. Mi capita guardando un vecchio film, leggendo di imprese sportive, ascoltando classici della musica… Bene, ascoltando Are You Experienced il quesito mi è prontamente balenato in testa. Immaginare di essere un giovane di quegli anni o ancor di più essere un musicista, un chitarrista, e pensare a quale potesse essere l’effetto nel sentire per la prima volta il disco d’esordio di Jimi Hendrix o la sua portata nell’ambiente musicale.
Non saprei, ma sono certo che fu una bella botta, considerando che spacca a sentirlo ancora oggi a 40 e passa anni di distanza.
Nota: la tracklist presa in oggetto è quella dell’edizione inglese rimasterizzata del 97.
Hendrix ti punta contro la sua chitarra elettrica e per prima cosa ti senti arrivar contro una canzone chiamata Foxy Lady. Incalzante riffing iniziale e bell’assolo, completa la voce profonda di Hendrix.
Segue Manic Depression e il suo ritmo particolare, e un altro assolo niente male. Come per Foxy Lady ottimo lavoro di Mitch Mitchell alla batteria.
Red House è il pezzo in cui più sono evidenti le influenze blues di Hendrix. E’ una canzone spettacolare dove la sei corde domina… ed è goduria per le orecchie.
Seguono altri brani rock dove semplicemente Jimi fa quel che vuole, tirando fuori suoni sorprendenti. Mitchell e Redding, al basso, lo supportano ottimamente, e si sente che sanno il fatto loro (specie in May This Be Love)… ma è fuori discussione chi sia il padre padrone della situazione.
In Fire la sezione ritmica si fa aggressiva fin da subito, alla voce di Jimi si affianca una seconda voce a supporto e troviamo due brevi assoli per un brano che non arriva ai 3 minuti.
Third Stone From The Sun è il brano più lungo e particolare del disco, mentre Remember è breve con una melodia quasi ossessiva
Con Are You Experienced? ci addentriamo nel momento più psichedelico dell’album, ricco di suoni ed effetti particolari.
Hey Joe è uno dei più noti casi di cover che superano e doppiano la versione originale in popolarità. Pezzone famosissimo.
Dopo la vivace Stone Free allacciate le cinture e azionate i fendinebbia, è il turno di Purple Haze. Questa è giustamente una delle canzoni più conosciute di Hendrix, nonché un sano momento emozione, parte e ci si fa rapire da quel riff che è la fine del mondo, dalla voce profonda, dal breve ma incisivo assolo incastonato a regola d’arte e dal suono selvaggio. Il tutto in meno di tre minuti.. “Excuse me while I kiss the sky!”
Passata anche 51st Anniversary, troviamo The Wind Cries Mary, delicata ballata con un efficace tappeto sonoro. In chiusura Highway Chile... serie di riff, basso a seguire, un po' funky, un po' blues. A metà Hendrix piazza l'ultimo veloce assolo del disco, che va poi concludendosi in un crescendo di strumenti e voce fino a spegnersi lentamente in fading.
Un album potente, elettrizzante, da ascoltare lasciando le mani libere di tentare l’air guitar… anche il più improbabile. 





1) Led Zeppelin – Led Zeppelin (1969)

Il più classico dei titoli per un album d’esordio, lo stesso della band. Per i successivi si limiteranno ad aggiungerci la numerazione alla fine, per il quarto album non ci metteranno nemmeno il titolo. Ma se la tua band si chiama Led Zeppelin e nei 3 album precedenti hai già scritto pagine importanti della storia del rock te lo puoi permettere. A maggior ragione se il biglietto da visita è stato un Capolavoro come questo.
L'album con cui il quartetto inglese si appressta, assieme ad altri gruppi, a gettare le basi dell' Hard Rock si presenta subito bene: Good Times, Bad Times è un brano breve ed aggressivo, con una buona prima prova della voce, un bel riff principale, Bohnam che picchia già duro sulla batteria, il basso a cui ogni tanto viene lasciato qualche momento per farsi sentire bene e quell'improvviso assolo di Page. Wow.
La seconda traccia è la cover di un brano folk americano, Babe I’m Gonna Leave You. E' forse il momento più emUzionante dell’album. Robert Plant mette qui in mostra le sue eccezionali doti vocali affiancate a una grande espressività. La parte strumentale irrompe anche fragorosamente, ma senza mai strafare, e non rubando la scena a Plant.
Anche la seguente You Shook Me è una cover; si tratta di un lungo brano blueseggiante, con tanto di uso di organo ed armonica. Sempre notevole la chitarra specie nella seconda metà e alla fine dove c'è un bel duello voce-chitarra. Bohnam ancora "contenuto".
Non c’è due senza tre, ed ecco quindi Dazed And Confused a scollinare nuovamente oltre i 6 minuti. Si parte lentamente con qualche secondo strumentale e con Plant che canta i primi versi, per poi alternare improvvise esplosioni sonore ad attimi tranquilli, fino alla parte centrale del brano dove prima il ritmo cala notevolmente, scandito dai vocalizzi di Plant e dal basso di Jones, e poi parte una galoppata furiosa trascinata dalla batteria di Bohnam e dall'assolo di Page (questa sezione e da sbavo), e la canzone si conclude riprendendo la prima parte iniziale. Nelle esibizioni live poi Dazed And Confused era una delle più "trasformate" fino ad arrivare a durate monstre... vedi i 25 minuti e mezzo in How The West Was Won.
Per oltre un minuto l'organo suonato da Jones fa da intro al successivo brano Your Time Is Gonna Come fino all'improvviso inserimento palla al piede di batteria e chitarra. Il pezzo è comunque piuttosto tranquillo e si trascina con il suo coro fin dentro l'inizio di Black Mountain Side, una breve strumentale tutta chitarra e percussioni, dalle sonorità esotiche.
Di tutt'altra pasta quanto viene dopo... Comunication Breakdown, un pezzo rock bello tirato. Plant può indossare i pantaloni più attillati che ha, la sezione ritmica può menare duro e Page ci mette al solito un riff molto figo e un assolazzo di quelli che piacciono tanto a me.
I Can't Quit You Baby è la seconda cover di Willie Dixon presente sull'album e come You Shook Me la vena blues sgorga fuori con Page che può sbizzarrirsi strappando il possesso della seconda parte del brano al cantante dalla bionda chioma.
Si finisce in bellezza con la lunga How Many More Times dove ciascun componente del gruppo può mettersi in bella mostra per l'inchino finale al pubblico.
Perché Led Zeppelin è, almeno per il momento, l’album d’esordio preferito degli anni ’60? E che starebbe comodo comodo tra gli album preferiti in assoluto degli anni ’60 aggiungerei…
E’ un disco energico, ricco di scosse hard rock coniugate alle radici blues del gruppo e alternate a momenti di calma apparente, ci sono dei gran pezzi e i 4 componenti della band sono ognuno tra i top della categoria.
John Paul Jones è probabilmente il meno ricordato, ma a me come bassista piace parecchio. Non tra i favoriti, ma piace… soprattutto negli album successivi.
John “Bonzo” Bonham. Beh per quanto mi riguarda è un po’ l’emblema del batterista rock. Una bestia dietro le pelli, ma dotata di grandi qualità.
Robert Plant l’avevo già citato di sfuggita nel post sui cantanti preferiti. Diciamo che non lo ascolterei a ripetizione, ma aveva una gran voce e per alcuni dei brani degli Zeppelin era perfetto.
Jimmy Page. Jimmy Page è forse la ragione principale per cui mi piacciono i Led Zeppelin. Adoro molti dei suoi assoli, dei suoi riff e già in questo album ne da dimostrazione. Un grandissimo.
Per concludere aggiungo che dopo questa dispensazione di lodi Led Zeppelin non è il loro album che preferisco (per dire...), in quanto trovo che già con Led Zeppelin II sempre del '69 si siano superati e abbiano trovato una dimensione più personale rispetto a questo comunque spettacolare album d'esordio.




Aaaaaaaand... Sono riuscito a concludere anche questo tormentato post, che c'avrò messo più di tre serate per mettere insieme le idee, riascoltarmi un po' gli album e soprattutto buttar giù il tutto... perchè, me ne sto rendendo conto, sono di una lentezza impressionante a scrivere.
Prima di cliccare sulla X in alto a destra, di chiudere il tab, staccare la spina o rovesciare il computer (o lo smartphone per gli aficionados) correndo via urlando, lasciate pure un commento qua sotto per dire la vostra e magari esprimere delle preferenze. Su su non siate timidi.
Un saluto e alla prossima, che domani è Halloween ma comunque il sottoscritto lavora e sarebbe buona cosa mettersi a dormire un po'.
Buona notte e buon sound ®

2 commenti:

  1. Come sempre è un piacere leggerti! Non mi sono spoilerato nulla, ho letto e scoperto man mano la classifica e la ritengo... beh, diversa dalla mia, ma davvero interessante! :)

    Aspetto pure gli anni '70, '80, '90 e 2000... anche se, salendo con gli anni, le scelte saranno molto meno difficili e dolorose. Purtroppo.

    Buon Sound a te! :)

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    1. Bene bene.
      Più avanti vedrò di fare anche i decenni successivi... anche se per i 2000 sono poco informato xD

      Poi sono curioso della tua classifica... c'è Freak Out! ?

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