martedì 29 gennaio 2013

La recensione: Django Unchained

Gli ultimi due weekend sono stati in buona parte dedicati al cinema, complice l’uscita di vari film che mi interessavano. Nel post di oggi partiamo dal primo in ordine cronologico.
Venerdì 18, c’è giusto il tempo di tornare a casa dalla trasferta, fare gli ultimi giri di messaggi/telefonate con gli amici e siamo pronti per andare a vedere in sala Django Unchained, l’ultimo atteso film di Quentin Tarantino.


Risale a oltre 3 anni fa la visione del precedente Bastardi Senza Gloria, dopo la quale sono uscito dal cinema contento come un bimbo. Aggiungendoci che tutta la sua filmografia mi è piaciuta era ovvio che le aspettative fossero parecchio alte. Certo, ho letto commenti molto positivi in giro per la rete nei giorni precedenti, ma il rischio delusione in questi casi può sempre essere in agguato dietro l’angolo.
Togliamoci subito il peso dicendo che Django Unchained mi è piaciuto e pure parecchio.

Una considerazione con cui partivo prima della visione e che ho anche condiviso a mente ancora calda subito dopo: secondo me proprio Bastardi Senza Gloria si può considerare il film della “maturità” di Tarantino, che non significa che sia il suo lavoro migliore… per quanto mi riguarda Pulp Fiction rimane il mio preferito nella sua eccellente produzione, nonché al secondo posto se dovessi scegliere un personale top degli anni ’90. Semplicemente quello che penso è che sia un po’ come nella musica, quando un artista/gruppo può esordire con una serie di grandi dischi, magari i migliori o più apprezzati, ma sia poi più avanti nella carriera che raggiunge la piena maturità artistica. Discorso questo più o meno condivisibile. Ecco, trovo che per Tarantino si possa applicare questo concetto. Stiamo parlando di un regista che ha esordito con Le Iene subito dopo ha diretto uno dei film più influenti degli ultimi 20 anni, ma che è forse col passare degli anni e un discreto bagaglio di esperienza alle spalle che ha prodotto un film come Bastardi Senza Gloria. E quel “I think this just might be my masterpiece” nell’ultima scena assume quasi un valore di questa consapevolezza. Poi lì le preferenze stanno al gusto personale.

Tornando al nostro film (ATTENZIONE A SPOILER VARI) , Django Unchained riprende il lavoro su larga scala del suo predecessore, dai grandi spazi alla notevole durata della pellicola. L’azione si sposta da un film di guerra sui generis al western, mantenendo comunque caratteristiche tipiche del regista che in parte lo discostano dalla mera etichetta. Tarantino non ha mai nascosto la sua passione per questo genere ed in particolare per gli spaghetti western nostrani e Sergio Leone. Già lo si poteva notare in alcuni sui precedenti film, dal già citato Bastardi Senza Gloria a Kill Bill, e qui può finalmente sbizzarrirsi… o scatenarsi, verrebbe da dire.


Per uno che ha fatto del cinema citazionista, ma pur sempre personale, il suo marchio di fabbrica i rimandi partono già dal titolo scelto, che omaggia il Django anni ’60 di Sergio Corbucci (anche per l'allora protagonista Franco Nero viene ritagliato un piccolo ruolo), e si susseguono qua e là. Ammetto che non essendo un gran conoscitore del genere un sacco mi saranno sfuggite.
Non sto qui a parlare della trama, perché se siete interessati la sinossi la conoscete o ancor meglio lo avete già visto. Voglio invece spiegare cosa, per me, funziona e mi ha fatto apprezzare Django Unchained.
A Tarantino, come sempre va detto, non si può dir nulla per le scelte di regia. Sa quando mostrare e quando no, quando rallentare e quando calcare la mano.
Assieme a Kill Bill questo è probabilmente il suo film più violento, ma non solo per il sangue in sé… pensateci, la parte degli 88 Folli nel primo volume di Kill Bill è un’esplosione di violenza così esagerata che le fontane di sangue dagli arti mozzati rendono la scena quasi surreale.
In Django la violenza è più “pressante”… certo anche qui ci sono alcune uccisioni particolarmente enfatizzate specialmente nella prima metà, con pistolettate varie (il primo schiavista, lo sceriffo, i fratelli alla piantagione), ed altre viste quasi con distacco (il sangue sul cotone, il contadino che si accascia a terra, ecc.). Ma le scene che ho trovato maggiormente dure sono legate al tema portante del film, la schiavitù.


Prima dell’uscita del film ci sono state le solite polemiche da parte di Spike Lee sul fatto che non si possa affrontare un tema come la schiavismo in maniera poco seria in quanto è paragonabile a un olocausto (e allora anche un film come La vita è bella non dovrebbe manco esistere), oltre al solito attacco sull'uso della parola “negro/nigger” che già da Pulp Fiction è ricorrente nei film di Tarantino. Premesso che Spike Lee è un regista che spesso ho apprezzato (ha sfornato almeno 3-4 film di gran livello), non trovo che in quanto afroamericano abbia l'esclusiva per poter infarcire i suoi film con l’uso della N-word specialmente se poi questi risultano a tratti più razzisti di un qualsiasi altro film del regista contro cui si scaglia. Guardando Django Unchained sicuramente si viene colpiti dall’uso praticamente continuo della parola, ancor più che per la frequenza dal fatto che qui, a differenza di un Pulp Fiction o Jackie Brown, si percepisce proprio la spregevolezza del termine che deriva dal contesto storico e sociale. Ma poi tutto si potrebbe dire tranne che il tema viene trattato alla leggera, perché se è vero che il film possiede quel classico tono quasi divertente dei predecessori, mi è stato difficile rimanere impassibile a scene come quella del combattimento fra mandingo, le frustate alla moglie di Django, lo sbranamento da parte dei cani o il discorso di Candie sulle motivazioni “scientifiche” del servilismo dei neri… Questo intendevo con “film più violento”, perché colpisce proprio allo stomaco.
E' questo colpire lo spettatore, assieme alla regia, è già un punto a favore del film.
La fotografia è davvero notevole. Nei primi film, comunque apprezzabili sotto questo punto di vista, l’ambientazione delle scene spesso in luoghi ristretti magari non richiedeva grossi sforzi ma già da Kill Bill si nota proprio il salto di qualità, da quando il regista ha iniziato la collaborazione con Robert Richardson.
Se in Inglourious Basterds c’erano scene visivamente coinvolgenti come quella con in sottofondo Cat People di Bowie, nel suo ultimo film si possono apprezzare i fantastici campi larghi (come sui titoli di testa o durante il periodo di addestramento del protagonista) o le scene in penombra, ad esempio mi è piaciuto un sacco il discorso a luce di candela tra Samuel L. Jackson e Kerry Washington.
Al montaggio non c’era più la storica collaboratrice Sally Menke, morta nel 2010, ma il lavoro fatto è comunque buono.
Come al solito Tarantino riesce ad azzeccare la scelta dei brani per la colonna sonora, perfino quel paio di canzoni rap non stonano con le scene in cui sono presenti. La canzone originale cantata da Elisa non mi ha colpito in positivo, ma magari lui non ci avrà neppure fatto caso pur di avere in un suo film delle musiche originali scritte da Ennio Morricone.
Non si è sentita la mancanza della narrazione non lineare… “Manca la suddivisione in capitoli tipica di tarantino!1!!1!” (cit.) Peccato che già in BsG la storia era in ordine cronologico, che se non c’erano i titoli a inizio capitolo era come Django. Anzi, ripensandoci, pure in Django ci sono un paio di testi su schermo che idealmente introducono una parte, tipo quell’enorme MISSISSIPPI che scorre in sovraimpressione, e pure i flashbacks non mancano.
Ho letto in giro anche giudizi negativi per l’assenza di alcuni trademark dei suoi precedenti film come il mexican standoff (che magari in un western poteva esserci) o l’inquadratura dal bagagliaio (1. Dove lo trovi il bagagliaio di un'auto? 2. Una scena con visuale in soggettiva non vorrei ricordar male ma mi pare ci fosse). Francamente mi pare abbastanza riduttivo giudicare l’impronta del regista solamente per piccole scelte estetiche.
D’altro canto mi è piaciuto quando all’inizio, nel bar, la telecamera indugia sulla spillatura della birra da parte di Waltz... mi ha ricordato il discorso sullo strudel nel suo film del 2009.


Comunque i due aspetti che maggiormente mi hanno fatto apprezzare il film sono grossomodo i soliti del resto della sua filmografia: la sceneggiatura e gli attori.
OK per la sceneggiatura non arriviamo al memorabilia di Pulp Fiction o Le Iene, ma i momenti in cui pensi “Come cavolo fa a rendere interessante un discorso del genere?” non mancano.
Il succitato discorso di Candie cranio umano al seguito è quasi surreale, ma personalmente mi ha incollato allo schermo; la prima scena in cui compare il personaggio di Schultz; “La D è muta”; una scena sostanzialmente inutile come quella dei cappucci che invece ho trovato riuscita… ed è fantastica nel rendere ridicoli dei personaggi abietti.
Non si punta molto sulla storia, che rimane molto lineare senza colpi di scena o altro, ma fa il suo lavoro nella costruzione dei personaggi e nei dialoghi.
Sceneggiatura, e personaggi, che rendono al massimo anche per le prove degli attori.

Django
Il protagonista, Jamie Foxx, non mi ha colpito particolarmente ma ha il carisma sufficiente che si richiedeva, con quel tocco cool che hanno i tipici pistoleri infallibili alla Trinità o quelli interpretati da Clint Eastwood. Anche se rimango convinto che si potesse esprimere un maggiore tormento dovuto alla moglie o alla condizione di schiavo, proprio esulando dalla scrittura del personaggio.

Stephen
Samuel L. Jackson invecchiato dal trucco ha un personaggio spassoso, che è anche quello probabilmente più odioso. Un servo nero, servile fino al midollo, che non esita a mettere in difficoltà i suoi simili. Sembra quasi strano ma è forse il più razzista del film. Jackson ci mette del suo nella caratterizzazione, con manierismo e uso del corpo e di quello sguardo incredibilmente cattivo e accusatorio. Prova che potrebbe andare a modificare idealmente la Top 5 che gliavevo dedicato.

Calvin Candie
Leonardo DiCaprio, come speravo, è riuscito a colpirmi. Il suo personaggio compare a film inoltrato ma lascia decisamente il segno. Mi è piaciuto che Leo sia uscito dalla sua comfort zone di interpretazioni degli ultimi anni (come 2 personaggi piuttosto simili nel 2010 in Shutter Island e Inception), mettendosi al servizio di Tarantino con un ruolo di villain sadico e appariscente, ma con un tocco di finta-raffinatezza. Divertente e spietato allo stesso tempo, è bravo anche nel non farsi sfuggire dalle mani un personaggio che deve essere sopra le righe ma che poteva facilmente scadere nel ridicolo. La sequenza in cui mi è piaciuto di più è il suo lungo monologo già descritto, dove passa da un tono compassato a una violenta esplosione di rabbia che mi ha ricordato alcune scene di Al Pacino. Giusto per curiosità: quando batte i pugni sul tavolo la sua mano inizia a sanguinare… beh non era previsto, ma la scena non è stata tagliata perché DiCaprio è rimasto in parte continuando a recitare come nulla fosse.

Dr. King Schultz
E concludo con il mio personale top del film, Christoph Waltz. L’altra faccia della medaglia che avevamo visto con l’Hans Landa di Bastardi Senza Gloria, carismatico e con padronanza delle parole. Se Landa sotto la patina suadente E’ cattivo (anche quando svolta alla fine, non esita ad uccidere chi potesse impedirgli di perseguire i suoi scopi personali) invece il dottor Schultz è sostanzialmente un buono, nonostante il suo lavoro di bounty hunter lo porti ad uccidere la gente. Di fatto è l’unico bianco ad avere a cuore la questione della schiavitù… ironico considerando appunto il precedente personaggio tedesco che era Landa.
Waltz è bravissimo fin dalla sua prima apparizione notturna in cui a colpi di battute e piombo libera Django e mantiene il suo charm anche nelle scene successive regalando i momenti più umoristici nella prima parte.
Tra l’altro con un paio di possibili (?) richiami al cinema di Mel Brooks: il nero a cavallo che suscita stupore come in Mezzogiorno e mezzo di fuoco o il cavallo che nitrisce quando viene pronunciato il suo nome, che mi ha ricordato subito Frankenstein Junior (in sala ho proprio detto “Frau Blücher”).
La cosa bella del suo personaggio è poi la sua trasformazione nel corso della storia: le prime avvisaglie si notano della scena in cui parla a Django del mito di Sigfrido e dal desiderio di aiutare il nuovo compagno in quanto si sente responsabile della sua vita: “E’ la prima volta che libero un uomo” gli dice. Un’ulteriore presa di coscienza si ha nella parte centrale, quella a passo lento. A differenza della prima parte del film in cui Waltz è l’assoluto scene stealer, Schultz rimane quasi ai margini della vicenda (che da maggiore esposizione a DiCaprio e Foxx) ed assiste come lo spettatore alle scene più dure a cui sono costretti gli schiavi di Candie: il combattimento fra loro o la sequenza con i cani. Particolarmente in quest’ultima ci viene mostrato il disgusto di Schultz e il desiderio di salvare quell’uomo (cosa a cui Django non pare badare molto, desideroso solo di ottenere vendetta).
La performance di Waltz torna su toni più leggeri una volta giunti a Candyland, sia a tavola che nella scena con Kerry Washington in camera da letto.
Si arriva quindi all’atto finale del suo personaggio. Django e Schultz arrivano a un accordo per la liberazione di Broomhilda, ma quando Candie chiede al dottore di stringergli la mano… succede quel che succede.
Così a caldo in sala mentre guardavo la scena ho pensato “Ma perché non gli hai stretto la mano e basta? Ormai era fatta!”. Poi però pensandoci un po’ sopra si capisce che senza quelle scene a cui abbiamo assistito in precedenza il gesto di Schultz sarebbe stato appunto inspiegabile.
C’è una breve sequenza poco prima che mi aveva incuriosito, ma a cui non avevo prestato troppa attenzione, dove viene suonato Beethoven all’arpa mentre Schultz è seduto su una poltrona e ripensa all’uomo sbranato dai cani e si rialza visibilmente turbato.
Chi ha visto Arancia Meccanica immagino possa capire… il personaggio ha completato il suo arco di cambiamento e il suo disprezzo verso la schiavitù e Candie è ormai totale, tanto da arrivare ad ucciderlo piuttosto che dargli la mano. “Non ho saputo resistere”. Un altro grande personaggio scritto da Quentin.
Waltz ha vinto il Golden Globe ed è candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista. Può starci, considerando che il sicuro protagonista è Foxx e dopo la dipartita del suo personaggio c’è ancora un bel pezzo di film, ma non sbaglieremmo a definirlo co-lead data la sua importanza e presenza di scena.

Comunque, più che in due parti, io personalmente suddividerei Django Unchained in 3 ipotetici atti.
Il primo che racconta l’incontro e la collaborazione tra Django e Schultz, con la caccia ai 3 fratelli, l’addestramento e le vicende dei due come cacciatori di taglie. Parte caratterizzata da dialoghi frizzanti e un tono generale abbastanza leggero.
Il secondo che parte dall’inizio della ricerca di Broomhilda, l’incontro con Candie, il lungo viaggio fino a Candyland e termina con la morte di Schultz. Si concentra maggiormente sui personaggi, si concede tutto il tempo per tratteggiarli e affronta di petto la questione centrale dello scontro razziale e della schiavitù.
Il terzo e ultimo atto è quello maggiormente ricco di azione. Subito dopo la doppia morte del duo Waltz-DiCaprio (quindi tolti di mezzo le migliori prove del film) parte una lunghissima sparatoria evidentemente esagerata che strizza l’occhio a Il Mucchio Selvaggio di Peckinpah e a John Woo per la quantità di proiettili e sangue che inondano lo schermo, da cui Django esce fuori facendosi strada fra cadaveri e pareti insanguinate in un’inquadratura dall’alto alla Taxi Driver.
Ci sono poi la tortura di Django, la sua liberazione in una sequenza dove il cameo del regista stesso si conclude col botto (ah-ah). Tra l’altro ve la ricordate una delle ultime scene di Bastardi Senza Gloria con Waltz e Brad Pitt?
Si giunge quindi alla conclusione della vendetta, Django libera la moglie e fa piazza pulita dei sopravvissuti di Candyland. Oltretutto qui Foxx ci piazza un paio di battute gustose…
“Io conto sei colpi, negro” – “Io conto due pistole, negro.” e poi quel “Non hai parlato di… gambizzare” dopo cui spara a Samuel L. Jackson. Talmente out of nowhere che mi ha steso.
Quindi conclusione con citazioni in sequenza da “Il buono, il brutto e il cattivo”, “Lo chiamavano Trinità…” e chissà che altro.
Giusto per la cronaca, le citazioni che ho riportato sono quelle che ho colto io, più o meno correttamente. Di sicuro su Wikipedia o altri siti troverete vagonate di roba.

Quindi… per me Django Unchained è un altro grande film da parte di Quentin Tarantino.
Non rientra, almeno per adesso dopo una sola visione, tra i miei preferiti della sua filmografia per una serie di motivi.
Intanto il genere. Il western, nella sua ampia gamma di tipologie, è un genere che non amo moltissimo. Come già detto non sono una fan dei vecchi spaghetti western, ecc. ma non sono neppure uno di quelli che non li sopporta, anche perché alcuni dei film che ho visto mi hanno dato molte soddisfazioni… dalla trilogia del dollaro di Leone, ai western “crepuscolari” alla Gli Spietati, fino ai più recenti come Il Grinta. Insomma sono riuscito ad apprezzarlo senza problemi.
Foxx come protagonista ho già scritto che è adatto, ma non mi ha fatto impazzire. I dialoghi sono molto buoni, ma non raggiungono i picchi di altre sue sceneggiature.
In generale l’ho trovato meno compatto rispetto ad esempio al già più volte citato Bastardi Senza Gloria, che più ci ripenso e più lo trovo ineccepibile da ogni angolo lo si guardi. Specialmente la parte del viaggio verso Candyland, che come ho scritto è comunque importante per la caratterizzazione dei personaggi, l’ho trovata forse tirata un po’ troppo per le lunghe. Non so se sia un problema della durata generale del film che è eccessiva o meno, perché ad esempio ci sono altre cose che avrei voluto maggiormente approfondite.
E poi in generale credo sia proprio la storia centrale che non mi ha preso troppo, nella sua linearità.
Lo metto comunque senza problemi tra i migliori film di quest’annata, mi ritengo soddisfatto e mi sento di consigliarne la visione senza problemi.
Sicuramente sarà mio quando uscirà per l’home video.

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