mercoledì 13 febbraio 2013

Paoloduncan - Le origini di un nick


Un paio di settimane fa c’è stato il mio compleanno. Per l’occasione, con un "leggero" ritardo, mi pare giusto tirare fuori un post un po’ personale.
Non si tratta di nessuna riflessione sugli anni che passano, sulla mia situazione attuale, sul tirar le somme o robe di questo genere. C’è che ho ripensato a come mai ho scelto di usare, per questo blog, il nickname “Paoloduncan” e di tirarne fuori una sorta di storia di come è nato. Con divagazioni ed aneddoti vari.
Come tutte le storie che si rispettino anche questa inizia con un “C’era una volta… (lo so che quelle sono le favole, ma abbiate un minimo di elasticità).

… circa 12 anni e mezzo fa un ragazzino, che poi sarei io." Potrebbero non sembrare molti, ma quando gli anni dopo quel giorno iniziano a superare la metà di quelli complessivi passati su questo pianeta, beh potremmo iniziare a dire che era anche “tanto tempo fa”.
Durante quell’estate del 2002 post-medie e pre-superiori, aperta dalle visioni delle partite del mondiale nippo-coreano e annessa disastrosa spedizione azzurra, mi trovavo insieme ai miei genitori ed alcuni parenti in Sicilia. Dopo una sosta con breve visita a Taormina ci mettemmo in macchina diretti verso un paese il cui nome ha spesso provocato ilarità quando ne ho parlato con qualcuno, Niscemi. “Ridente” centro abitato in provincia di Caltanissetta, che dall’alto della collina ove è ubicato regala un panorama del mare in lontananza, di Gela e della sua raffineria.
Di quel viaggio ci sono alcune piccolezze che mi ricordo particolarmente: il cartello “Capitale del carciofo” all’ingresso del paese, la strada sulla collina il cui fianco era ricoperto di rifiuti (“Ma sto posto è costruito sulla spazzatura?”), alcuni anziani niscemesi seduti sulla loro sedia al bordo della strada che davano l’idea del tipico vecchio siciliano alla “niente sacciu”, mentre si chiudevano le finestre delle case al nostro arrivo (!). E poi il paesaggio lungo la strada per arrivare fin lì… sembrava di essere nel mezzo di un western, la nostra macchina su questa lunga strada nel mezzo del nulla, sotto il sole che spaccava le pietre e ad un certo punto anche quegli arbusti che rotolano portati dal vento a passarci di fianco. Che li avevo visti solo nei film quegli affari lì, i tumbleweed.
Ma arriviamo finalmente a noi, all’evento scatenante, quando durante il viaggio di ritorno da Niscemi in direzione Calabria ci fermiamo ad una stazione di servizio, sempre nel mezzo del nulla. 
Non so se per mangiare, per andare in bagno o cos’altro, l’unica cosa che ricordo è che come ero solito fare durante le soste in autogrill mi fermai davanti all’angolo dei giornali. Di quella murata di copertine una in particolare attirò la mia attenzione, questa:

Eh sì... c'è l'ho ancora in camera questo numero.
Non ho la più pallida idea di cosa mi spinse a comprare proprio un numero di “Rivista Ufficiale NBA” (data in copertina Giugno 2002, prezzo 3,70€) per passare il tempo durante il viaggio. In fondo di basket americano, ed in generale, non sapevo praticamente nulla e gli unici contatti che avevo avuto con quel mondo erano davvero limitati: forse qualche spezzone di partita quando ancora passava qualcosa in chiaro sulla TV, un mio amico che aveva un mini-pallone dei Toronto Raptors, loghi di varie squadre (oltre ai Raptor ricordo la mascotte degli allora Charlotte Hornets), un tizio con la canotta dei Magic di Penny Hardaway (al tempo non avevo manco idea di chi fosse), il “basket con gli amici” della sigla di Willy, il principe di Bel-Air… e ovviamente Michael Jordan e i Bulls, un fenomeno quello di MJ che esula il mero ambito sportivo entrando nell’immaginario collettivo. E se sei un bambino e i tuoi genitori ti regalano la VHS di Space Jam a maggior ragione quel volto non può che essere familiare, insomma c’erano Bugs Bunny e soci che interagivano con gente in carne e ossa e sfidavano degli alieni a una partita di basket. Anni dopo avrei scoperto le varie citazioni, chi erano tutti quegli altri giocatori, che c’era Larry Bird, che c’era Bill Murray e che, nonostante il film in sé non fosse questo capolavoro, non riuscivo a non amarlo.
Oltretutto mi torna in mente che, sempre quando ero piccolo, ero un accanito consumatore di un periodico dedicato ai Looney Tunes, con fumetti ed articoli vari… una specie di Topolino della concorrenza. Non mi ricordo però assolutamente come si chiamasse.

Comunque, durante il viaggio iniziai a sfogliare quel giornaletto dalle pagine patinate. Riguardandole adesso fa una strana impressione…
Scostata la copertina subito la pubblicità di alcune canotte…


Kobe che portava ancora il numero 8, la 3 di Iverson a Phila quando era uno dei Top Player della Lega, una maglia dei Raptors che non poteva che essere quella di Vince “Vinsanity” Carter, la 23 dei Wizards del 2° comeback di Jordan, quella dei T-Wolves che fu di Garnett e quella di Chris Webber nella miglior versione dei Sacramento Kings, che di lì a breve sarebbero finiti fuori dai playoffs dopo 7 gare coi lacustri.
  
C’è poi un articolo sul playmaker canadese che qualche anno fa è stato due volte MVP, Steve Nash allora in maglia Dallas Mavericks. Si legge “Il veterano giunto al sesto anno nella lega”… ne sono passati il doppio e lui è ancora lì a calcare i parquet americani.
Ci sta un intero articolo dedicato al vincitore del premio alla miglior matricola dell’anno, tale Pau Gasol dei Memphis Grizzlies, poi bi-campione con i Los Angeles Lakers, quando ancora aveva i capelli corti e un po’ di pizzetto.
Un racconto su un giocatore croato, Drazen Petrovic, di cui non avevo mai sentito parlare ma che mi affascinò per quella tristezza che traspariva dalla lettura, dove si parlava della guerra in Jugoslavia fino alla morte in un incidente stradale.
Un trafiletto per il tedescone Dirk Nowitzki e 4 pagine dedicate a Rick Fox, “gregario” dei Lakers del three-peat.
Un articolo sulle triple-doppie, questa misteriosa parola di cui andavo a scoprire il significato e che mi sembrò fin da subito una gran cosa, e su Jason Kidd allora a quota 46 in carriera… ora sta a 107.
Poi uno sfracello di foto e statistiche. Una marea di numeri che all’inizio non mi dicevano una benamata, ma che mi misi comunque lì a guardare.

E ovviamente c’era il pezzo di copertina, quello de “Il solo e unico Tim Duncan”.
Leggevo di questo a me sconosciuto giocatore, era stato appena premiato col titolo di MVP quindi oh scarso non doveva certo essere. Come avrete capito “Paoloduncan” è per metà dovuto a lui.
Ma non fu solo il fatto del premio, ci mancherebbe. E’ che quell’articolo mi colpì, per come ne usciva Tim, sia il giocatore che l’uomo.
L’apertura è esattamente “ALTO 2.13, COORDINATO E FORTE FISICAMENTE, L’ALA DEI SAN ANTONIO SPURS TIM DUNCAN HA UN CORPO CREATO DAGLI DEI DEL BASKET” (Caps Lock compreso)
Parla di come si sia preso maggiori responsabilità all’interno della squadra (da 5 anni in NBA e già con un titolo vinto). Di come abbia iniziato a essere meno silenzioso in campo, fino a un’espulsione dopo un battibecco con Garnett (con tanto di foto) quando ancora non sapevo nemmeno chi fosse KG, figurarsi il suo trash talking.

Piglia questa Bigliettone
Trovavo interessante questa sua immagine di giocatore poco appariscente ("Giocatore senza highlights" cit.), geloso della sua vita privata, lucido, dedito al sacrificio e all’impegno, con la testa sulle spalle, uno che poteva uscirsene dal college ed essere draftato senza problemi ma che si fece tutti e 4 gli anni. Shaquille O'Neal lo soprannominò "The Big Fundamental" per il suo gioco perfetto nei fondamentali e per il suo stile di gioco non improntato alla spettacolarizzazione.
E poi c’è quella storia di come iniziò a giocare a basket…
Da piccolo pratica il nuoto, sotto la supervisione di sua madre, e a 14 anni è considerato uno degli atleti più promettenti sui 400 metri stile libero.
La preparazione per le Olimpiadi di Barcellona 1992 continua senza problemi fino a quando, nel 1989, l'uragano Hugo devasta completamente la città, scoperchiando la piscina. Una delle poche "infrastrutture" salvatasi dalla furia distruttrice dell'uragano è un modesto canestro di un suo vicino di casa. Qui Tim può sfogarsi, dimenticandosi dei problemi che affliggono la sua famiglia (sua madre, infatti, era malata terminale di cancro).” (Wiki)
Tutto questo, in una manciata di pagine rilette più volte, mi fece innamorare praticamente subito di quel giocatore delle isole Vergini che indossava la maglia numero 21 di una squadra che non avevo mai sentito nominare fino a quel momento. Una roba del tipo “Sento che questo è l’esempio del mio giocatore ideale”.
A leggerlo così può sembrare una puttanata, ma è difficile da spiegare razionalemente.


Fu da quel giorno che iniziai a “”seguire”” l’NBA. Virgolettato perché non avendo la pay TV vedere le partite era un optional, Youtube ancora non esisteva e figurarsi avere il concetto di streaming.
Si faceva ciò che si poteva. Iniziai a comprare periodicamente, dopo qualche numero di quella rivista che mi aveva aperto un mondo, American Superbasket leggendomi ogni piccolo dettaglio dai risultati delle partite, alle statistiche, alle trade fino al gossip (Poi l’ausilio di Internet mi facilitò le cose). Imparando a conoscere i nomi e anche i meccanismi e i termini tecnici… che quando qualcuno mi chiede come funziona il Draft NBA a volte non ricordo di quanto ci avessi messo io a capirlo.
Per la cronaca il primo Draft di cui lessi qualcosa, quello del 2002, vide la chiamata con la prima scelta di Yao Ming, il centrone cinese che doveva dominare la Lega negli anni a venire... non fosse per la marea di infortuni.
Fu di quell'estate l’ultimo dei 3 titoli consecutivi Lakers, vincencenti nelle Finals contro i Nets di Jason Kidd.
Sempre quell’estate a Torino, e per la precisione in un negozio di articoli sportivi nel centro commerciale 8 Gallery (non ricordo se si chiamasse così allora), mi ritrovai di fronte alle canotte NBA in vendita. Probabile che ci fossero alcune di quelle della pubblicità che dicevo prima, ma la scelta fu davvero semplice quando vidi la canotta Spurs 21 con la scritta “DUNCAN” sulla schiena, quella nera da trasferta.

Questa.
Quando a Settembre iniziò la scuola quella canotta fu spesso indumento per le ore di educazione fisica. Divertente poi il fatto che uno dei miei compagni di classe avesse invece la numero 21 di Garnett.
Nonostante la mia attività nel basket giocato si sia limitato al poco fatto a scuola ormai l’interesse verso l’NBA c’era e avevo anche una squadra per cui poter simpatizzare.
Diciamo che la scelta di una squadra NBA (o di qualsiasi altro sport americano, ma direi anche una squadra di calcio straniera) lascia la massima flessibilità. Volendo uno può decidere di “tifare” per i Bobcats perché gli piace il logo, per dire.
Nonostante il blasone di Lakers e Celtics, l’immagine di MJ ai Bulls o la simpatia per i Raptors tempo prima che ci arrivasse Bargnani (simpatia che deriva da un viaggio proprio a Toronto un paio di anni prima), decisi che il mio team da seguire sarebbero stati gli Spurs, in tempi non sospetti, perché ci giocava Duncan.
Genuino momento emozione© ripensando all’All Star Game 2003 ad Atlanta. La partita la davano su Italia 1 e io avevo programmato il videoregistratore per mettere su cassetta (uff) la partita e guardarmela il giorno dopo. Il meglio della Lega, Duncan in campo, l’ultima partita delle stelle per Jordan omaggiato nell’intervallo da una Mariah Carey in un vestito dei Wizards superstretto, partita avvincente nel finale e terminata dopo 2 Overtime.

Alla fine della stagione il momento in cui capisci di avere puntato sul cavallo giusto, Duncan viene premiato con il secondo MVP consecutivo e gli Spurs vincono il titolo. Ho ancora a casa il numero speciale con le foto di quei playoffs e i festeggiamenti dopo le Finals, di cui ero riuscito a vedere anche qualche spezzone. Con una squadra con l’Ammiraglio David Robinson che chiudeva lì la sua carriera, un giovane Tony Parker e il fantasioso Manu Ginobili (per entrambi occhio lungo della dirigenza), oltre ai vari Stephen Jackson, Bowen, Claxton, Kerr. E un Tim Duncan MVP anche delle Finals con una Gara-6 a sole due stoppate dalla quadrupla-doppia. Chapeau.


Magari l'avevate intuito... il post ha virato verso l'NBA degli ultimi anni, dal mio punto di vista.

In seguito alla conquista del titolo di cui sopra…
Seguo con moderato interesse il Draft 2003. Un draft che verrà ricordato negli anni per la quantità di talento che ne è venuto fuori. Ad incuriosirmi erano le voci intorno alla prima scontata scelta, LeBron James. Ma oltre a The Chosen One rileggendo la lista troviamo:
Darko Milicic, scelto col numero 2 assoluto, varrà ai Detroit Pistons sfottò nei secoli. Il serbo classe ’85 viene poco utilizzato e in questi anni ha girovagato in varie squadre.
Carmelo Anthony, diretto avversario di LeBron per il titolo di matricola dell’anno e gran talento offensivo, è ora stella nella Grande Mela.
Scelte 4 e 5 per gli attuali campioni in carica Chris Bosh e, soprattutto, Dwyane Wade.
Per gli Spurs ai Playoff arriva l’eliminazione al 2° turno per mano dei rivali Lakers (Fanculo Fisher!). Lakers in versione “O si vince o niente”, con Shaq all’ultima annata in gialloviola ai ferri corti con Bryant e gli ultraveterani Karl Malone e Gary Payton alla caccia dell’agognato anello. Nonostante mi dispiacesse per il Postino la vittoria dei Pistons in finale mi fece assai piacere. La classe operaia va in paradiso.
Ah… il prima citato Milicic almeno potrà dire di essere il primo di quel Draft a mettersi l’anello al dito, con il suo contributo alla causa dei Pistons esprimibile in 8 gare giocate in Post Season con media di 1.8 minuti e 0.1 punti a partita.
Che poi nel 2005 (anno in cui mi creai un account di posta che uso tuttora con user name di duncaniana ispirazione) arrivò il 3° titolo proprio contro la squadra di Detroit, il secondo da quando avevo iniziato a simpatizzare/tifare Spurs. Tim Duncan premiato nuovamente come miglior giocatore delle Finals. Grazie ai video in streaming mi sono potuto gustare, tra gli altri, l’ennesimo tiro decisivo nella carriera di “Big Shot” Horry:



Una delle poche "macchie" nella carriera di Duncan è con la maglia della rappresentativa americana alle Olimpiadi del 2004. Grazie a una Rai che ancora copriva in maniera più che dignitosa l'evento mi ero guardato un bel po' del torneo di basket. USA e Duncan falliscono raggiungendo solo il terzo posto che vale il bronzo. Ma sinceramente spiace solo per il mio idolo, perchè quel torneo lo ricordo con gran piacere per l'impresa dell'Italia medaglia d'argento. Gli Azzurri dei vari Basile, Bulleri, Pozzecco, Galanda, Soragna, Marconato, Chiacig e compagnia mi rimarranno impressi in particolare per la semifinale contro la favorita Lituania... un vero e proprio tiro al bersaglio, sembrava che ogni tiro dovesse entrare.
La finale poi fu vinta da un'Argentina superiore, guidata dall'altro Spurs Manu Ginobili.

Nel 2006 i Dallas Mavericks interrompono l’egemonia di Spurs e Lakers, che erano state le uniche due squadre a rappresentare la Western Conference alle Finals dal 1999 (con la sola sconfitta nel 2004 come dicevamo). E lo fanno eliminando al 2° turno proprio gli Spurs in un derby texano deciso all’overtime in Gara-7.
I Mavericks devono però cedere il passo ai Miami Heat, guidati dal duo Flash-Superman (Wade e Shaq).
E per l’ex Lakers è mantenuta la promessa fatta al suo arrivo in città due anni prima di portare per la prima volta il titolo a Miami.
Per fortuna dal punto di vista di vista sportivo posso consolarmi con il Mondiale di calcio del 2006. Non c’è bisogno di aggiungere altro.

In questo momento non ricordo se era il Febbraio del 2006 o quello del 2007, come regalo di compleanno ricevetti il completo dei Cleveland Cavaliers di LeBron, giocatore che al di là delle simpatie/antipatie non può non essere apprezzato per quello che fa vedere in campo.

Sì, proprio questa maglia LBJ
Ed è nel 2007 che posso rivedere Tim Duncan e compagni risollevare il Larry O'Brien Trophy.
La stagione,aperta dalla prima scelta del nostro Andrea “Il Mago” Bargnani al Draft, vede gli Speroni arrivare ai PO con il 3° seed ad Ovest, che vale l’incontro al secondo turno con i Suns di Steve Nash.
In finale di Conference scampiamo il rischio Mavs (campioni in carica e con il miglior record in Regular Season), che in uno dei più grossi upset della storia NBA furono prematuramente mandati in vacanza dai Warriors 8° testa di serie al primo turno, e la minima resistenza dei Jazz apre le porte della terza Finale da quando seguo l’NBA.
La premessa sul regalo di compleanno perché a fronteggiare la corazzata nero-argento ci sono proprio i Cavalieri del Re (la squadra di "King" LeBron, non il gruppo musicale noto per le sigle dei cartoni animati). Ricordo anche di aver visto parte di una delle partite una sera bevendo una birra al pub. Troppo grande però il gap da colmare per i Cavs che avevano uno dei migliori giocatori della Lega, ma una squadra non all’altezza. 4-0, sweep, LeBron a casa e Tony Parker go-to-guy della serie che si aggiudica l’MVP delle Finals… che se lo è meritato e il buon vecchio Tim era già a quota 3.
Titolo e contentezza per il sottoscritto.


Per gli Spurs il peso dell’età si fa sentire. Tim ha già superato le 30 primavere e dimostrato di essere una delle migliori power forward (la migliore) nella storia del gioco. Lo stesso Manu si avvicina alla trentina. Horry fresco del 7° anello personale con 3 squadre diverse da lì a un anno chiuderà una carriera vincenti come poche. Finley e Brent Barry sono ampiamente in fase calante e anche il classe ’71 Bruce Bowen appenderà le scarpe al chiodo nel 2009.
Certo il titolo non è più tornato nella città del rodeo ma loro, 5 anni dopo, sono sempre lì tra le squadre da battere. Merito di una dirigenza che non pare neppure vera e di un coach che arrivato alla sua diciassettesima stagione sul pino di San Antonio ha marchiato a fuoco la sua idea di gioco su un gruppo che ha saputo rinnovarsi… anche se continuando a poggiarsi sulle fondamenta del suo trio delle meraviglie.

Dal 2007 abbiamo assistito a…
Draft del 2007 con le prime due scelte andate nel Nord-Ovest degli States: Greg Oden a portare tonnellate di infortuni e rimpianti in quel di Portland e Kevin Durant (maggior motivo dei rimpianti) a vestire la maglia dei furono-Seattle Sonics.
Manu Ginobili premiato come Sixth Man Of The Year… sì giocando 31 minuti a gara con la sua miglior media punti in carriera, 19.5.
Il ritorno alla gloria dei Celtics che tornano a far gioire la parte di Boston che ama il basket dopo 22 anni di astinenza, quando in bianco verde c’era un biondone dalle mani fatate. Per quella parte di città che ama il baseball ci avevano pensato i Red Sox nel 2004 (e 2007) dopo un’attesa che, in confronto, ai Celtics gli ha detto bene.
E quale miglior titolo se non riportando sul palcoscenico più importante la rivalità storica dello sport americano tutto: quella con i Lakers. I dannati rivali losangelini che avevano eliminato gli Spurs in finale di Conference. Benvenuto quindi il titolo per i biancoverdi.
Season 08-09 con l’ingresso nella Lega di Derrick Rose, pronto a risollevare le sorti dei Bulls dopo gli anni bui del post-MJ, l’ennesimo titolo divisionale per gli Spurs (salvo poi l’eliminazione con Dallas ai PO), il trasferimento dei Sonics da Seattle a Oklahoma City cambiando il nome all’anagrafe in “Thunder” e la risposta dei Lakers alla sconfitta dell’anno precedente.
Kobe guida infatti i suoi a battere Orlando in finale vincendo il 4° titolo in maglia Lakers e per la prima volta come MVP, senza l’ingombrante presenza dello Shaq del three-peat.
I Lakers si ripetono l’anno seguente prendendosi la rivincita in finale contro Boston. Per SA “deludente” stagione da 7° ad Ovest, con eliminazione 4-0 per mano dei Suns… c’è giusto il tempo di far fuori i favoriti Dallas Mavericks (altra rivalità cresciuta negli anni).

La Season 2010/2011 non regala grosse soddisfazioni a Paoloduncan…  gli Spurs tirano fuori dal cilindro una stagione da 61 vittorie che vale il secondo miglior record della Lega alle spalle dei Bulls (62-20) del sopracitato Rose, ma ai Playoff arriva la doccia fredda con la sorprendente eliminazione al primo turno contro i Grizzlies. Ovviamente la squadra di Memphis fatto il colpaccio contro di noi si fa eliminare dai Thunder di Durant.
Nella pre-season l'evento che ha sconquassato l'intero pianeta basket americano: LeBron free agent di fronte alle telecamere della TV da vita a The Decision, l'evento mediatico-sportivo che farà crescere le schiere di suoi detrattori (e le battute verso sull'Ohio in How I Met Your Mother) e con cui va ad accasarsi a Long Beach, nei Miami Heat di Wade per formare una squadra costruita per vincere.
E mi ritrovo così con una maglia rossodorata dei Cavs con il suo nome sopra, da qualche parte nell'armadio.
E vabbè, i PO non li seguo molto ma una volta fuori dai giochi Duncan&Co., visto che LeBron a me è sempre piaciuto simpatizzo per Miami.
Ma la premiata ditta si schianta fragorosamente proprio nei pressi del traguardo, sconfitti in finale dai texani brutti e cattivi di Dallas che si porta a casa il primo anello nella storia della franchigia e si mangia il piatto tenuto in freddo dal 2006.
Per LeBron in particolare partono pernacchie a destra e manca, con uso ed abuso di termini come "Overrated", "Loser" o "LeChoke". Ma si sa Haters Gonna Hate.
Quantomeno tutta una serie di giocatori nelle fila dei Mavs si è finalmente guadagnata un anello: il grande Dirk Nowitzki su tutti (altro che il trafiletto su quel lontano numero del 2002), ma anche Jason Kidd, Shawn Marion, Jason Terry e Peja Stojakovic.

Ed arriviamo all'ultima stagione conclusa, quella 2011/2012, aperta in ritardo causa lockout.
Stagione che ho seguicchiato con un rinnovato interesse.
Ai nastri di partenza i nomi da tenere d'occhio sono i Bulls di Rose, i Miami Heat di un LeBron motivatissimo, i giovani leoni di Oklahoma guidati da Kevin Durant, i sempre temibili Celtics e Lakers.
E di fatti al termine della Regular Season accorciata ci si ritrova con i Bulls trascinati dalla loro stella al primo posto della Lega, Miami seconda ad Est con LeBron in stato di grazia che si porta a casa il 3° MVP in carriera, Durant vince per il terzo anno consecutivo il titolo di miglior realizzatore del campionato riconfermandosi giocatore stellare e macchina da canestri con cui i Thunder sono tra i papabili per la vittoria finale.
Ma una squadra su tutte sorprende. Per l'ennesimo anno erano considerati vecchi e ormai pronti a chidere il loro ciclo, e invece i nonnetti di San Antonio si presentano al via della Post Season con una striscia aperta di 10 vittorie consecutive e con lo stesso record stagionale di Chicago, maturato grazie a uno stile di gioco tra i più belli da vedere.
Tra lo streaming, qualche partita recuperata in differita e Sport Italia che passa in chiaro una partita a settimana e un po' di highlights questi ultimi Playoff bene o male me li sono guardati.
Al primo turno gli Spurs spazzano via gli Utah Jazz con un tondo 4-0, stesso punteggio con cui vengono eliminati i campioni in carica di Dallas dai giovani Thunder. Mentre dall'altra parte ad Est la sfiga è dietro l'angolo per i lanciatissimi Bulls che vedono spezzarsi i sogni di gloria insieme al crociato di Derrick Rose in Gara-1 del primo turno. A questo punto chi potra fermare Miami? Un po' ci prova lo stato di forma di Wade, ma New York (e Amare che si sfascia una mano tirando un pugno contro un estintore) viene superata.
Al secondo turno gli Spurs sweepano anche i Los Angeles Clippers, mentre i cugini gialloviola vengono regolati da Oklahoma. Miami-Indiana è serie vera e dura vinta 4-2.


Per alcuni quella ad Ovest è la Finale anticipata... gli Spurs, partite viste, giocano nelle prime due in casa un basket da sbavare sul pavimento portandosi sul 2-0 e portando la propria striscia al record di 20 vittorie consecutive tra RS e Playoffs. Per un po' ci ho creduto ma alla fine sono arrivate le 4 sconfitte di fila, le più pesanti che valgono l'eliminazione per mano di Durant e compagni, nonostante il gran gioco (da ambo le parti) e anche un Manu eroico da 34 punti in Gara-5. La novità Thunder arriva in finale dopo aver fatto fuori una dopo l'altra le tre squadre che nei precedenti 13 anni avevano portato la bandiera della Western Conference.

Nel mentre nell'altra finale di Conference a portare il testimone dei Bulls ci pensano gli altri vecchietti, i Big Three dei Boston Celtics con in cabina di regia Rondo.
Qui si scrive la storia. Miami in vantaggio 2-0, il Celtic Pride rivive e il risultato si ribalta sul 2-3 in favore dei biancoverdi.
I fantasmi aleggiano di nuovo su LeBron e i gufi già preparano le posate per trasformarsi in avvoltoi e banchettare sulla sua carcassa. Ma "LeChoke" l'anno scorso era un uomo in missione, come la sua squadra, e con una prestazione monstre da 45 punti al TD Garden di Boston fa pentole e coperchi per riconquistare il fattore campo. Gara-7, complice anche il ritorno di Chris Bosh (che piazza pure un record di 3 triple), è appannaggio degli Heat, pronti a conquistare il titolo sfumato nel 2011.
A dispetto delle aspettative le Finals sono meno "combattute" del previsto e Miami dimostra di essere davvero on fire, vincendo 4-1 concedendo ai Thunder solo la prima gara in Oklahoma.
Per vedere in diretta gara-5, che poteva non essere la partita decisiva, ero andato a letto presto per poi piazzare la sveglia alle 3 del mattino e cercare lo streming per guardarmela.
Partita mai in discussione, Wade e Bosh sopra i 20 punti, il contributo che non ti aspetti dal veterano Mike Miller che con una schiena dolorante ne piazza 23 con 7-8 da oltre l'arco.
E poi ovviamente c'è LeBron James che mette la ciliegina sulla torta con una prova totale che significa tripla doppia da 26 punti, 11 rimbalzi e 13 assist.
Come detto a me James è sempre piaciuto un sacco, fin dal suo arrivo nella Lega (che quasi corrisponde al periodo in cui ho iniziato a seguirla), quindi vedere gli Heat festeggiare e LeBron alzare il trofeo come un bambino che scarta i regali di Natale è stato un bel momento sportivo. Nonostante fossero quasi le 6 del mattino. Nonostante il sonno.


Siamo arrivati al capolinea.
Al 13 Febbraio 2013, circa a metà stagione, quelli che dovevano essere sul viale del tramonto ormai da un paio di anni, quelli vecchi (per davvero), i San Antonio Spurs sono ancora lì a lottare per le parti alti della classifica. Con 41W e 12L sono al momento il team con il miglior record NBA.

Tim Duncan, a cui è dedicato il mio nickname, è anche lui sempre lì con i suoi quasi 37 anni sulle spalle e 15 anni di carriera incredibile. A parte un ultimo piccolo problema fisico si fa ancora valere viaggiando a 17.3 punti e 9.7 rimbalzi ad allacciata di scarpe.
Un'intera carriera da professionista, in tutti i sensi, con la maglia degli Spurs di cui è già una leggenda.
Quando si ritirerà, e quel giorno arriverà non troppo tardi, la NBA perderà uno dei più grandi interpreti del ruolo e uno dei giocatori più rappresentativi della prima decade del XXI secolo (giusto per stare stretti).
Nel palazzetto di San Antonio la sua canotta 21 verrà messa accanto a quella di David Robinson, George Gervin, ecc. e allora sì che il ciclo sarà finito.
Quella texana non è una piazza appetibile e forse, ma spero di no, si passerà per anni di basso profilo e di ricostruzione... magari sperando in una botta di culo come per il Draft del 1997. 
Ci sarà l'ammirazione per i vari LeBron, Durant, Chris Paul, ecc. ma il tifo, simpatia o chiamatelo come volete per un team NBA continuerà ad essere per gli Spurs.

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